Pensione dei sindacalisti: incrementi, contributi figurativi, ammontare della pensione. 

 

Spesso si sente parlare delle pensioni d’oro dei sindacalisti: dato che questi lavoratori non hanno una gestione previdenziale a sé stante, ci si domanda come possano, rispetto alla generalità dei dipendenti, ottenere un trattamento di miglior favore, con assegni che arrivano, in alcuni casi, a superare 140.000 Euro.

Il miglior trattamento dei sindacalisti deriva dall’applicazione di regole contributive diverse dagli altri lavoratori, non solo grazie al fatto che i contributi possono essere versati da soggetti terzi rispetto al sindacato presso il quale si presta servizio, ma specialmente grazie alla possibilità di vedersi riconosciuti, a carico delle organizzazioni sindacali, alti incrementi della pensione. Ma fino a che punto questi benefici incidono sul trattamento che sarebbe realmente spettato, e, soprattutto, l’aumento della pensione riguarda tutti coloro che ricoprono cariche sindacali?

La redazione di LLpT ha approfondito la questione per voi, grazie alla documentazione messa a disposizione dall’Inps nel Progetto Porte Aperte: vediamo dunque insieme come funziona la previdenza dei sindacalisti, per capire quanto c’è di vero, e quanto no, sulle notizie diffuse in merito.

I contributi dei sindacalisti

Innanzitutto, chi sono i sindacalisti? Sono lavoratori come gli altri, chiamati però a ricoprire cariche sindacali: laddove l’incarico sindacale sia a livello provinciale o nazionale, poiché, ovviamente, risulterebbe impossibile conciliarlo con l’ordinaria occupazione, i sindacalisti possono essere collocati in aspettativa per motivi sindacali [1], che può essere retribuita o meno.

Nel caso in cui sia retribuita, il datore di lavoro è obbligato a pagare lo stipendio ed a versare la contribuzione: fatto per cui tale tipologia di aspettativa, detta anche distacco sindacale, è molto rara nel settore privato, ma più diffusa per i dipendenti pubblici, con 1045 lavoratori in distacco, nel 2013, contro 748 in aspettativa non retribuita. Un costo non indifferente per i cittadini, tanto più se sommato a quello dei permessi retribuiti: secondo i dati diffusi dal Ministero della Pubblica Amministrazione e la semplificazione nel 2011, il costo delle assenze annue complessive dei dipendenti della P.A. per motivi sindacali è stato pari, nel 2010, a ben 113.277.390 Euro.

Vediamo ora la disciplina dettagliata ed i benefici derivanti dalle due tipologie di aspettativa
Aspettativa non retribuita

L’aspettativa non retribuita dà luogo a una sospensione del rapporto di lavoro: in pratica, il dipendente non deve più prestare la propria attività, ed il datore non deve erogare la retribuzione. È dunque l’organizzazione sindacale a retribuire il lavoratore, poiché l’attività di quest’ultimo è prestata a suo favore. Tuttavia, nonostante il rapporto lavorativo sia sospeso, al lavoratore sono accreditati i contributi figurativi in misura piena (cioè sia la contribuzione a carico del dipendente che quella a carico dell’azienda), a carico della gestione previdenziale del lavoratore. Pur essendo pienamente coperto da contributi il periodo di aspettativa, molto spesso accade che, in aggiunta alla contribuzione figurativa, siano versati ulteriori contributi dal sindacato: in questo caso al lavoratore è dunque accreditata una doppia contribuzione, che incrementa la pensione in misura proporzionale all’ammontare dei versamenti.

Gli aumenti della pensione a seguito del versamento della doppia contribuzione non sono indifferenti, soprattutto se si considera che la contribuzione figurativa è commisurata allo stipendio che il dipendente avrebbe percepito in costanza di rapporto, comprensiva degli incrementi contrattuali e degli scatti di anzianità; sono escluse solo le voci non fisse e continuative, come straordinari e premi.

Il lavoratore, per vedersi accreditato il periodo di contribuzione figurativa, dovrà però presentare un’apposita domanda entro il 30 settembre dell’anno successivo all’aspettativa, pena la decadenza dal diritto.

La contribuzione aggiuntiva, invece, non è versata a tutti i dipendenti in aspettativa sindacale, ma solo ai dirigenti sindacali, o ai componenti di organismi direttivi di confederazioni ed organizzazioni sindacali, che possiedano la rappresentatività nel comparto o nell’area di riferimento.

I contributi aggiuntivi, comunque, sono versati solo quando i compensi dell’attività sindacale superano la retribuzione figurativa del lavoratore: dipendono dunque dall’effettivo ammontare che il sindacato riconosce per l’attività prestata.
Aspettativa retribuita

L’aspettativa retribuita, detta anche distacco sindacale, consiste sempre in una sospensione del rapporto lavorativo, ma al dipendente è garantita sia la retribuzione che la contribuzione da parte del datore di lavoro originario, che continua, dunque, a pagare stipendi e contributi come se il sindacalista stesse ancora lavorando.

Da quanto esposto si comprende facilmente come mai i distacchi nel settore privato siano molto rari, e salta all’occhio che tale istituto rappresenti un notevole costo per la pubblica amministrazione: una recente legge del Governo Renzi [2], ha comunque dimezzato i distacchi ed i permessi sindacali retribuiti presso ciascuna amministrazione e per ciascuna organizzazione sindacale, a partire dal 2015.
Oltre ai contributi versati dal datore di lavoro, anche per i sindacalisti in distacco sono previsti i contributi aggiuntivi: in questo caso, qualora il sindacato decida di versare la contribuzione aggiuntiva, dovrà commisurare i versamenti all’intera indennità corrisposta al sindacalista, e non solo sui compensi superiori alla retribuzione figurativa. Il vantaggio è dunque doppio, ed è attribuito, nella maggioranza dei casi, a chi ricopre incarichi dirigenziali nel sindacato.
Contributivi aggiuntivi e aumento della pensione

Abbiamo visto che la contribuzione aggiuntiva può essere accreditata per entrambe le tipologie di aspettativa, in base alla decisione dell’organizzazione sindacale, e che nella maggior parte delle ipotesi tale beneficio è concesso ai dirigenti sindacali.

Ma in che modo i contributi aggiuntivi aumentano la pensione?

Innanzitutto, i versamenti sono calcolati applicando l’aliquota pensionistica della gestione d’appartenenza:

– alla differenza tra i compensi per l’attività sindacale e la retribuzione figurativa accreditata nell’anno, per chi fruisce dell’aspettativa non retribuita;

– al totale dei compensi per l’attività sindacale per chi fruisce dell’aspettativa retribuita.

Poiché, assieme ai contributi aggiuntivi, sono versati i figurativi (per i collocati in aspettativa non retribuita) o gli effettivi (per i lavoratori in distacco sindacale), la contribuzione aggiuntiva non incide sul diritto alla pensione, poiché i periodi coincidenti non possono essere sommati: incide, però, sulla misura della pensione.

Ciò significa che i contributi aggiuntivi non possono anticipare la pensione dei sindacalisti, ma possono aumentarla.

Gli aumenti più alti riguardano i dipendenti pubblici a cui si applica il calcolo della pensione col sistema misto o retributivo, poiché i periodi di contribuzione aggiuntiva sono riconosciuti all’interno della cosiddetta quota A. In pratica, per i sindacalisti del settore pubblico, la quota A di pensione si basa sulla retribuzione percepita l’ultimo giorno di servizio, a differenza della quota B, che considera le retribuzioni medie percepite in un periodo di tempo più lungo: caricare la contribuzione aggiuntiva sulla quota A comporta dunque un forte aumento della stessa, e ovviamente della pensione. Aumento che sarebbe stato molto minore, qualora la contribuzione aggiuntiva fosse stata riconosciuta nella quota B.

Per evidenziare le differenze, l’Inps ha pubblicato un grafico, che mostra, per 19 proiezioni diverse, la pensione lorda effettivamente percepita e la pensione che ciascun sindacalista riceverebbe nel caso in cui i contributi aggiuntivi fossero accreditati nella quota B anziché nella A. La differenza media è del 27% , ma si può arrivare a una differenza del 66% della somma percepita.

Il meccanismo, ad ogni modo, è abbastanza chiaro: Tizio, lavoratore pubblico, ottiene un incarico sindacale dirigenziale nell’ultimo anno di servizio; più risulta elevata l’indennità (e dunque la contribuzione) accreditata per l’incarico, più sarà innalzata la sua pensione.

La replica dei sindacati

Dura la reazione delle maggiori organizzazioni sindacali, riguardo alla diffusione di tali dati da parte dell’Inps: la Uil ha accusato l’Istituto di aver diffuso notizie imprecise e di aver voluto gettar discredito su una categoria che svolge funzioni di fondamentale importanza, parlando di trattamenti molto vantaggiosi a favore dei sindacalisti. Le altre organizzazioni hanno confermato di aver applicato solo quanto previsto dalla normativa e, per quanto riguarda il “giochetto” dell’incarico dirigenziale super-retribuito nell’ultimo anno di carriera, hanno ribadito che sia una grave ingiustizia alimentare la sfiducia sui sindacati e fare di tutta l’erba un fascio.

Certo, in base a quanto diffuso dall’Inps emerge che il fenomeno delle pensioni d’oro non riguarda certamente tutti i sindacalisti, ma soltanto chi ha incarichi dirigenziali o posizioni di un certo rilievo: tra questi, poi, non tutti ricevono il beneficio della contribuzione aggiuntiva per innalzare la pensione.

Il problema, in realtà, è “di fondo”, cioè insito nel sistema previdenziale: con la prospettiva di percepire una magra pensione, magari dopo 43 anni di lavoro, o vicino ai 70 anni (non si arriverà tardi a tali soglie), un lavoratore mal riesce a sopportare qualsivoglia privilegio, e la presenza di “regole speciali” ed eccezioni varie certo non aiuta a favorire il rapporto di fiducia che dovrebbe esserci tra Stato e cittadini.

Nemmeno se tali vantaggi, attualmente fortemente dimensionati, fossero aboliti da domani, giustizia sarebbe fatta: resta, difatti, la questione dell’intangibilità dei diritti acquisiti, per la quale non sarebbero comunque toccati tutti coloro che , approfittando delle regole, già percepiscono pensioni d’oro.

È inutile, dunque, prendersela con questo o quel privilegio, poiché, per ottenere una reale uguaglianza, il sistema deve essere riformato dal profondo, modificando anche le situazioni che si considerano intoccabili.

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